Come si è formato il debito pubblico italiano


Quella del debito pubblico italiano è una storia strana, perché ha un inizio molto prevedibile, poi avanza noiosamente e improvvisamente, verso il finale, si fa avventurosa.

Roberto Artoni, ex commissario Consob e docente emerito di Scienza delle finanze all’Università Bocconi di Milano, qualche anno fa, prima dello scoppio della recessione, ha proposto una ricostruzione storica dell’andamento del passivo di Stato italiano dall’Unità ad oggi e ha individuato quattro grandi momenti di crescita del debito dell’Italia rispetto al suo Prodotto interno lordo. Il primo momento di accumulo, che ha portato il rapporto tra debito e Pil al 117% nel 1897, si spiega con la caduta del Pil dovuta alla Grande Depressione di fine secolo. Il secondo e il terzo momento coincidono con le due Guerre mondiali. Questa è la parte prevedibile della storia e anche quella meno interessante, dato che tutte e tre le volte l’Italia con l’aiuto di condoni e inflazione è poi riuscita a riportare sotto controllo i suoi conti pubblici.

La parte avventurosa è il quarto momento di accumulo del debito pubblico, una fase che inizia nel 1974 con un debito al 54,5% del Pil e si chiude nel 1994 con un rapporto tra debito e Pil al 124,3%. Ciò che è successo in quel ventennio, conclude Artoni, «è il problema veramente aperto».

È un problema aperto anche a livello pratico: a differenza delle altre volte, l’Italia non è mai riuscita a riassorbire il debito accumulato in quei vent’anni. Ci ha provato e con significativi sforzi è stata capace – unica in Europa – a chiudere in attivo, al netto degli interessi, 22 bilanci pubblici su 23 tra il 1995 e il 2017. Non è bastato. Nel 2007 il debito era tornato sotto quota 100%. La grande recessione ha però abbattuto il Prodotto interno lordo di quasi dieci punti percentuali (che ancora non abbiamo recuperato) lasciando schizzare il rapporto debito/Pil fin sopra il 130%.

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