Nel mondo delle criptovalute l’apocalisse sembra essere sempre lì, a un passo da noi. Da qualsiasi punto la si voglia guardare. Nella visione del mondo di quelli che possiamo definire “criptoentusiasti”, il denaro così come lo abbiamo conosciuto nei secoli presto sarà abbandonato e troverà il suo posto nei musei tra altri oggetti obsoleti, come le carrozze o le cabine telefoniche. I vecchi soldi finiranno male, dicono, perché non sono efficienti: soprattutto hanno il difetto di svalutarsi con l’inflazione e di potersi moltiplicare in base alle decisioni delle banche centrali. Per questo saranno spazzati via. Sarà la fine di un’era e ne inizierà un’altra, in cui tutti riconosceranno il valore di bitcoin, ethereum, ripple, dogecoin e decine di altre valute basate sulla finanza decentralizzate e le catene di blocchi. Quando questo avverrà, le banche centrali saranno svuotate dalla loro ragion d’essere, quelle private perderanno il loro antipatico potere. Le regole del denaro saranno allora fatte dal “popolo”. O meglio: i nuovi padroni dell’economia mondiale saranno quelli che hanno fatto scorta di criptovalute in questi anni. Spesso nella scena finale di questa visione apocalittica si vedono i cripto-entusiasti al volante di sgargianti Lamborghini, che per qualche ragione sono le loro automobili di riferimento e, più in generale, lo scopo ultimo dell’investimento in bitcoin.
All’immaginario futuribile dei cripto-entusiasti si contrappone la visione dei cripto-critici, altrettanto apocalittica. Lo scenario disegnato dai cripto-critici è proprio l’opposto: i bitcoin e le altre criptovalute otterranno alla fine il valore che meritano. Cioè zero. Perché arriverà il giorno in cui chi ha pensato bene di scambiare dollari, euro, renminbi o qualsiasi altra forma di denaro emesso da uno Stato con informazioni digitali chiamate “criptovalute” non troverà più nessuno disposto a fare lo stesso. Allora l’investitore scoprirà di non avere comprato altro che codici tanto complicati quanto inutili. Ci sono poche vie di mezzo tra i cripto-entusiasti e i cripto-critici. Figlie del nostro tempo, le criptovalute sono oggetti fortemente polarizzanti: tutto o niente, o ci si crede o le si disprezza. Qualche zona grigia però esiste. Intervistato su “Avvenire” qualche settimana fa il fondatore di Conio, società italiana che propone un portafoglio digitale per comprare e vendere bitcoin, ci raccontava che ci sono giovani che investono piccole cifre mensili in criptovalute più o meno con l’atteg-giamento di chi acquista un biglietto della lotteria.
Il futuro promette loro così poco (anche in termini concretamente previdenziali) che questi ventenni e trentenni vedono in quei soldi digitali una piccola speranza: magari i cripto-entusiasti hanno ragione e quelle frazioni di bitcoin comprate oggi a colpi da 50 euro al mese saranno le solide certezze su cui contare per trascorrere una serena vecchiaia in un’Italia che si spopola. Stanno in questa zona grigia, ma con un diverso atteggiamento, anche quelle banche e società finanziarie che si sono aperte alle criptovalute per offrire ai clienti la possibilità di investirci. Ci sono anche giganti finanziari come Morgan Stanley, Goldman Sachs, JP Morgan. Il caso di JP Morgan è particolarmente interessante: Jamie Dimon, che ne è l’amministratore delegato da quindici anni, non ha esitato a definire i bitcoin «una truffa» e «uno schema Ponzi», ma dal momento che i facoltosi clienti li volevano, la banca non gli ha impedito di comprarli inserendo alcuni fondi specifici nel suo portafoglio. Come spesso accade non solo a Wall Street, sulle valutazioni di merito hanno prevalso quelle di business: va bene qualsiasi investimento, se c’è modo di guadagnarci e non è illegale.
Le cronache degli ultimi tempi sembrano dire, ancora una volta, che l’apocalisse è vicina davvero, ed è quella di cui parlavano i cripto-critici. La quotazione dei bitcoin – che era balzata dagli 8mila dollari di inizio 2020 al record di oltre 67mila dollari dell’agosto 2021– è precipitata per assestarsi da qualche mese attorno ai 17mila dollari. Chi ha comprato un bitcoin a gennaio, ad oggi ci ha perso il 65%. Poteva andare peggio. Tra le altre criptovalute più popolari censite dal portale Coin Market Cap, durante il 2022 Ethereum ha perso il 68%, Ripple il 60%, Cardano l’81% e Solana il 93%. Il crollo dei valori ha trascinato in bancarotta diverse grandi società del settore. Il collasso primaverile delle criptovalute coreane Terra e Luna ha lasciato un buco da 42 miliardi di dollari, facendo fallire prima il fondo asiatico Three Arrows Capital e quindi, a luglio, la società di prestiti di criptovalute Celsius Network e Voyager Digital. Voyager era stata “salvata” dalla borsa di criptovalute Ftx, che sembrava una delle più affidabili ma è a sua volta è fallita clamorosamente a novembre – con l’arresto del fondatore e Ceo, Sam Bankman-Fried – proprio mentre stava tentando di salvare un’altra società di cripto prestiti, Block-Fi.
Le dinamiche di questi fallimenti sono tutte molto simili: quando i clienti iniziano a chiedere indietro il loro denaro, le aziende vanno in crisi. Prima sospendono i prelievi e quindi saltano per aria. Per questo negli ultimi giorni molti cripto-entusiasti sono spaventati da quello che succede in Binance, il principale mercato delle crypto: si moltiplicano le sospensioni dei prelievi con motivazioni “tecniche”. Il fondatore e ceo Changpeng Zhao continua a dire che tutto è sotto controllo, ma intanto le società Mazars e Armanino che facevano una (sommaria) revisione dei conti dell’azienda si sono ritirate e oggi Binance non trova un revisore che abbia un minimo di credibilità disposto a firmare i report della sua azienda, di cui non è nemmeno chiara la sede. Nel frattempo ha comprato a sua volta gli asset di Voyager. La principale rivale di Binance, la borsa americana Coinbase, non sta molto meglio: le sue azioni hanno perso il 45% da gennaio e i primi a venderle, è emerso, sono l’amministratore delegato e il direttore finanziario.
All’immaginario futuribile dei cripto-entusiasti si contrappone la visione dei cripto-critici, altrettanto apocalittica. Lo scenario disegnato dai cripto-critici è proprio l’opposto: i bitcoin e le altre criptovalute otterranno alla fine il valore che meritano. Cioè zero. Perché arriverà il giorno in cui chi ha pensato bene di scambiare dollari, euro, renminbi o qualsiasi altra forma di denaro emesso da uno Stato con informazioni digitali chiamate “criptovalute” non troverà più nessuno disposto a fare lo stesso. Allora l’investitore scoprirà di non avere comprato altro che codici tanto complicati quanto inutili. Ci sono poche vie di mezzo tra i cripto-entusiasti e i cripto-critici. Figlie del nostro tempo, le criptovalute sono oggetti fortemente polarizzanti: tutto o niente, o ci si crede o le si disprezza. Qualche zona grigia però esiste. Intervistato su “Avvenire” qualche settimana fa il fondatore di Conio, società italiana che propone un portafoglio digitale per comprare e vendere bitcoin, ci raccontava che ci sono giovani che investono piccole cifre mensili in criptovalute più o meno con l’atteg-giamento di chi acquista un biglietto della lotteria.
Il futuro promette loro così poco (anche in termini concretamente previdenziali) che questi ventenni e trentenni vedono in quei soldi digitali una piccola speranza: magari i cripto-entusiasti hanno ragione e quelle frazioni di bitcoin comprate oggi a colpi da 50 euro al mese saranno le solide certezze su cui contare per trascorrere una serena vecchiaia in un’Italia che si spopola. Stanno in questa zona grigia, ma con un diverso atteggiamento, anche quelle banche e società finanziarie che si sono aperte alle criptovalute per offrire ai clienti la possibilità di investirci. Ci sono anche giganti finanziari come Morgan Stanley, Goldman Sachs, JP Morgan. Il caso di JP Morgan è particolarmente interessante: Jamie Dimon, che ne è l’amministratore delegato da quindici anni, non ha esitato a definire i bitcoin «una truffa» e «uno schema Ponzi», ma dal momento che i facoltosi clienti li volevano, la banca non gli ha impedito di comprarli inserendo alcuni fondi specifici nel suo portafoglio. Come spesso accade non solo a Wall Street, sulle valutazioni di merito hanno prevalso quelle di business: va bene qualsiasi investimento, se c’è modo di guadagnarci e non è illegale.
Le cronache degli ultimi tempi sembrano dire, ancora una volta, che l’apocalisse è vicina davvero, ed è quella di cui parlavano i cripto-critici. La quotazione dei bitcoin – che era balzata dagli 8mila dollari di inizio 2020 al record di oltre 67mila dollari dell’agosto 2021– è precipitata per assestarsi da qualche mese attorno ai 17mila dollari. Chi ha comprato un bitcoin a gennaio, ad oggi ci ha perso il 65%. Poteva andare peggio. Tra le altre criptovalute più popolari censite dal portale Coin Market Cap, durante il 2022 Ethereum ha perso il 68%, Ripple il 60%, Cardano l’81% e Solana il 93%. Il crollo dei valori ha trascinato in bancarotta diverse grandi società del settore. Il collasso primaverile delle criptovalute coreane Terra e Luna ha lasciato un buco da 42 miliardi di dollari, facendo fallire prima il fondo asiatico Three Arrows Capital e quindi, a luglio, la società di prestiti di criptovalute Celsius Network e Voyager Digital. Voyager era stata “salvata” dalla borsa di criptovalute Ftx, che sembrava una delle più affidabili ma è a sua volta è fallita clamorosamente a novembre – con l’arresto del fondatore e Ceo, Sam Bankman-Fried – proprio mentre stava tentando di salvare un’altra società di cripto prestiti, Block-Fi.
Le dinamiche di questi fallimenti sono tutte molto simili: quando i clienti iniziano a chiedere indietro il loro denaro, le aziende vanno in crisi. Prima sospendono i prelievi e quindi saltano per aria. Per questo negli ultimi giorni molti cripto-entusiasti sono spaventati da quello che succede in Binance, il principale mercato delle crypto: si moltiplicano le sospensioni dei prelievi con motivazioni “tecniche”. Il fondatore e ceo Changpeng Zhao continua a dire che tutto è sotto controllo, ma intanto le società Mazars e Armanino che facevano una (sommaria) revisione dei conti dell’azienda si sono ritirate e oggi Binance non trova un revisore che abbia un minimo di credibilità disposto a firmare i report della sua azienda, di cui non è nemmeno chiara la sede. Nel frattempo ha comprato a sua volta gli asset di Voyager. La principale rivale di Binance, la borsa americana Coinbase, non sta molto meglio: le sue azioni hanno perso il 45% da gennaio e i primi a venderle, è emerso, sono l’amministratore delegato e il direttore finanziario.
pubblicato su Avvenire il 29 dicembre 2022