La fabbrica dei vaccini nell’Italia distratta

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C’è stato un momento, attorno all’inizio della primavera del 2021, in cui sembrava che produrre vaccini in Italia fosse importantissimo. La distribuzione dei primi vaccini anti-Covid da parte delle aziende produttrici era partita a rilento, i governi si combattevano le poche dosi a disposizione, era tutta una polemica su chi le riceveva prima e chi dopo. Gli italiani si rendevano conto che sarebbe stato un vantaggio avere sul nostro territorio le imprese capaci di creare i nuovi vaccini. O almeno quelle coinvolte nelle fasi centrali della produzione delle dosi.

In quei mesi di emergenza in cui la produzione nazionale di vaccini si è imposta tra i grandi temi del dibattito pubblico nazionale, l’Italia ha scoperto essenzialmente due cose: abbiamo pochi impianti farmaceutici con i bioreattori necessari alla produzione di vaccini; l’unica grande produzione di vaccini sul nostro territorio è quella di Gsk, che a Siena ha il suo polo mondiale per la produzione di vaccini contro il batterio del meningococco. Ci siamo ripromessi che la prossima epidemia non ci avrebbe trovati impreparati. Il governo, in particolare il ministero dello Sviluppo economico, si è adoperato con tavoli e incontri con le aziende per fare in modo che anche l’Italia avesse la sua produzione di vaccini. Poi le dosi di AstraZeneca, Pfizer, Moderna e Janssen sono arrivate. Anche più abbondanti degli italiani disposti a lasciarsele iniettare.

L’emergenza Covid-19 è gradualmente rientrata e con il passare dei mesi l’importanza di avere una produzione nazionale di vaccini è evidentemente scemata. Il progetto del vaccino italiano ReiThera sta morendo malamente per carenza di fondi. L’unico vero investimento che avrebbe permesso di aumentare la produzione di vaccini in Italia, quello di Catalent ad Anagni, è stato soffocato dalla burocrazia senza che la cosa abbia destato molto scalpore: l’azienda voleva mettere due bioreattori nel suo stabilimento e allestire l’impianto per ospitarne altri sei, ma dopo avere aspettato nove mesi le autorizzazioni di Comune, Provincia e ministero della Transizione energetica ha deciso di spostare nel Regno Unito l’investimento (oltre a cento posti di lavoro e un centro di ricerca). L’Italia poteva avere la sua ‘fabbrica di vaccini’ e invece non l’avrà, almeno non quella che aveva più chance di essere pronta in tempi brevi. Ma non interessa più quasi a nessuno, perché adesso la grande preoccupazione dei timonieri italiani è come tagliare il prezzo delle bollette e dove, in particolare, trovare il gas che presto non prenderemo più dalla Russia.

Una preoccupazione comprensibile, quella per il metano e l’energia più in generale, che rischia però di avere la stessa sorte di quella per la produzione di vaccini: il rischio di essere dimenticata. Succederà non appena i costi dell’energia scenderanno e un’emergenza nuova, magari di tutt’altro genere, ci troverà impreparati, regalando a qualcos’altro tutte le ansie di un Paese che sembra avere un problema cronico di deficit dell’attenzione pubblica. Succede in continuazione: quando esplode il debito pubblico e quando non ci qualifichiamo ai mondiali di calcio, quando crolla un viadotto sull’autostrada e quando il Po scende ai livelli più bassi degli ultimi trent’anni. Ce ne preoccupiamo moltissimo, ma solo per un po’. Quasi mai verifichiamo che qualcuno stia agendo perché la prossima volta le cose vadano meglio.

Chi lo fa, chi lavora silenziosamente alla soluzione dei problemi nazionali (che sono sempre gli stessi, da anni, come la mostruosa autoparalisi di quella malaburocrazia che ha fatto fuggire Catalent) va avanti nel disinteresse dell’opinione pubblica. Spesso, quando è un politico, con un magro ritorno in termini elettorali. Purtroppo il miglioramento della qualità del dibattito pubblico non è tra gli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Ma finché l’Italia non imparerà a vedere a fondo i problemi e ad affrontarli seriamente, con pazienza e attenzione, lungo tutta la strada che porta alla loro soluzione, continueremo a non risolverli e a perdere opportunità di crescita e di futuro. Solo perché ancora una volta – badavamo già ad altro.

Pubblicato su Avvenire il 21 aprile 2022

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