È dall’inizio della pandemia che i conti bancari italiani hanno preso a “gonfiarsi”. I depositi di famiglie e imprese ammontavano a 1.563 miliardi di euro a fine gennaio. A fine febbraio l’Associazione bancaria italiana, nelle sue rilevazioni mensili, indicava 21 miliardi di euro in più. A marzo e aprile la crescita è proseguita al ritmo di 18 miliardi di euro al mese. A maggio altri 19 miliardi. Il calo di giugno (4 miliardi in meno) è stato più che compensato dai 24 miliardi depositati sui conti a luglio. Ad agosto il saldo è aumentato di altri 10 miliardi. Anche per settembre l’Abi registra una crescita di 10 miliardi. Risultato: adesso sui conti correnti e di deposito di famiglie e imprese italiane ci sono 1.681,9 miliardi di euro, quasi 100 miliardi in più rispetto ai giorni che hanno preceduto il lockdown di marzo e l’8% in più nel confronto con un anno fa.
È un record storico ma non è necessariamente un dato positivo. L’aumento dei depositi è il frutto di scelte e situazioni differenti. Molto di questo aumento è relativo ai conti bancari delle imprese. L’Abi tiene riservati i dettagli delle sue rilevazioni mensili. Le ultime cifre sui conti bancari pubblicate dalla Banca d’Italia, riferite a fine agosto, indicano che da fine febbraio a fine agosto i depositi delle imprese sono aumentati di 56,5 miliardi di euro. Una buona parte di questi soldi sono i prestiti ricevuti nel contesto di emergenza. Proprio ieri l’Abi ha annunciato che le domande di accesso al Fondo di Garanzia hanno superato i 92,7 miliardi di euro e si avvicinano prima del previsto alla soglia dei 100 miliardi. I dati della Banca d’Italia indicano che tra fine febbraio e fine agosto il credito alle società non finanziarie è cresciuto di 36,1 miliardi di euro (fino a 671,2 miliardi). I tassi, aggiunge l’Abi, sono bassissimi: quelli medi, che considerano anche le vecchie operazioni, sono scesi a settembre al minimo storico del 2,27%. Quelli sulle nuove operazioni per le imprese ammontano all’1,18%.
La maggiore ricchezza bancaria delle famiglie ammonta invece a 22,7 miliardi di euro aggiuntivi, sempre tra febbraio e agosto, a cui si aggiungono gli 8 miliardi in più delle cosiddette famiglie “produttrici” (cioè artigiani e microimprese). Questo aumento si spiega con dinamiche che non certo positive per l’economia nazionale. La prima è la riduzione dei consumi, crollati del 27,3% nel secondo trimestre. La seconda è la paura per il futuro. Le famiglie tengono i soldi sul conto sapendo che i rendimenti sono azzerati perché non si fidano di metterli altrove. Su questi aspetti i dati non sono ancora aggiornati, ma l’Abi segnala che già nel primo trimestre tra le attività finanziarie delle famiglie c’è stato un crollo delle obbligazioni (-14,2% annuo), delle azioni (-13,4%) e degli investimenti in fondi comuni (-8,4%). «Il risparmio non è di per sé negativo, è chiaro che si sono comportamenti cautelativi che inducano a creare dei buffer di risorse per fare fronte a eventuali criticità – ha commentato Gianfranco Torriero, vice direttore generale dell’Abi –. Per questo bisogna ricreare condizioni di certezza e proseguire con le politiche economiche di governi e Unione europea, perchè se la crescita dei depositi a causa dell’incertezza diventa un comportamento strutturale, fa venire meno delle risorse aggregate per l’economia».