Tra le “mission” delle linee guida del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che è il primo passo del progetto del governo italiano per utilizzare i 209 miliardi di euro delle risorse del Recovery Fund, al primo posto c’è la voce «digitalizzazione e innovazione». Per le aziende innovative e le startup italiane si prospetta un’inedita opportunità di crescita. Però le cose vanno fatte bene. «Anche l’approccio del decreto Rilancio alle imprese innovative era molto positivo, ponendo al centro l’investitore privato, ma purtroppo l’attuazione dei decreti ha modificato l’impostazione originaria con potenziali effetti sulla reale efficacia della misura. Inoltre, a causa delle lungaggini endemiche della macchina dello Stato, oggi l’Italia è l’unico Stato europeo in cui le startup non hanno ancora ricevuto un euro di finanziamento nell’ambito dei piani di rilancio» nota Francesco Cerruti, direttore generale di VC Hub Italia, associazione che rappresenta i gestori di fondi venture capital che operano in Italia e le principali startup innovative.
Mercoledì scorso avete presentato le richieste delle startup italiane in audizione alla Commissione Attività Produttive della Camera. Che clima avete trovato?
A parole c’è un clima estremamente positivo. Tutto il piano Next Generation UE è centrato su ambiente, digitale e innovazione. Bisogna vedere come queste parole d’ordine saranno declinate. Per le startup abbiamo già evidenziato come storicamente in Italia si ritenga più opportuno introdurre aiuti quasi a pioggia piuttosto che privilegiare un aiuto concreto a quelle realtà che hanno il margine per crescere e per creare ricchezza e lavoro. Una eccessiva distribuzione delle risorse aumenta il rischio di frammentazione, con la conseguenza che non si riesce ad aiutare in modo significativo chi può fare il salto di qualità e che si finanziano imprese che non sono in ottima salute per cause che non c’entrano con il Covid.
Che cosa servirebbe alle startup italiane?
Noi abbiamo fatto tre proposte molto precise: il rafforzamento del tech transfer, con agevolazioni fiscali per chi investe, decide di stabilirsi lavorativamente e diffonde conoscenze in Italia; la creazione di una serie di Fondi di Fondi, a matrice pubblica ma a traino privato, per allocare in modo efficiente le risorse del Recovery Fund alle imprese innovative attive nelle aree da valorizzare; un rafforzamento del credito d’imposta per le imprese che fanno ricerca e sviluppo, così da sostenerle mentre portano avanti gli investimenti.
Sta nascendo una sorta di “fronte” delle imprese innovatrici nel nostro Paese?
Come VC Hub Italia abbiamo lanciato un interessante progetto che mette assieme gli attori del settore life science per arrivare a proposte concrete e realizzabili di modifica al sistema normativo che aiutino chi fa innovazione. Non possiamo rassegnarci al fatto che l’Italia investa 700 milioni all’anno in imprese innovative quando la Spagna investe 1,3 miliardi e la Francia 4,7. A meno che non accettiamo di essere un Paese di bassa Serie B sui temi dell’innovazione.
Le risorse del Recovery Fund sono davvero un’ultima chance?
Sì, non credo ci saranno altre opportunità simili per recuperare il nostro ritardo. Stiamo già sprecando le enormi risorse intellettuali del nostro Paese. Basti un esempio: poche settimane fa hanno assegnato le borse di ricerca dello European Research Council, la principale organizzazione europea di finanziamento alla ricerca. Su 436 borse solo 20 verranno spese in Italia contro le 88 della Germania. Eppure 53 borse sono andate a ricercatori italiani, che quindi nella stragrande maggioranza dei casi lavorano con successo a creare innovazione, ma lo fanno in altri Paesi dell’Unione Europea.