Brun: “modello Genova” per liberare gli investimenti nell’energia


Il colosso anglo-olandese Shell ha in programma di sviluppare nel giro di cinque anni 1 Gw di capacità fotovoltaica in Italia. Sarebbe un contributo importante verso gli obiettivi del Piano energia e clima presentato a gennaio dal ministero dello Sviluppo economico, che entro il 2030 vuole portare da 20 a 52 Gw la capacità di energia solare italiana. «Però confesso che è una fatica. Abbiamo iniziato un anno fa e per ora siamo in fase avanzata con progetti per qualche centinaio di Mw. Incontriamo continui ostacoli a livello comunale, regionale e nazionale. In questo momento, per esempio, si è aperta la questione dell’uso delle aree agricole per gli impianti fotovoltaici. Su questo tema il governo non chiarisce e restiamo nell’incertezza » spiega Marco Brun, che dal 2010 è presidente e amministratore delegato di Shell Italia.

Il piano per il fotovoltaico italiano di questo colosso angloolandese è solo un esempio di come in Italia sia difficilissimo portare avanti gli investimenti di cui c’è bisogno. Brun siede nel direttivo di Confindustria Energia. L’associazione spiega che i privati sono pronti a fare investimenti per la transizione energetica per 110 miliardi di euro in dieci anni, ma i tempi medi per realizzare una grande opera in Italia, 15,8 anni, scoraggiano anche i più volenterosi. La speranza del manager di Shell è che il “modello Ponte Morandi” possa essere adottato anche per la realizzazione di opere non “straordinarie”. «Penso a un modello in cui un commissario ha ampi poteri per sburocratizzare e semplificare i processi. La parola crisi deriva dal verbo greco krino, che significa distinguere, cioè fare delle scelte. Oggi attraversiamo una crisi imprevista e durissima ed è proprio il momento delle scelte. Abbiamo questo enorme problema della burocrazia e dei tempi incerti che frenano gli investimenti: avremmo potuto risolverlo con riforme graduali, ma ormai è tardi, si potrebbe pensare a interventi ad hoc, i cui tempi però sono incerti. La strada dell’emergenza, come quella applicata a Genova, può liberare gli investimenti di cui il Paese ha bisogno, nel campo dell’energia come in quello delle infrastrutture».

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