Il momento di evitare che gli aiuti pubblici Ue finiscano nei paradisi fiscali


I governi dell’Unione Europea stanno facendo uno sforzo economico enorme per gestire l’emergenza sanitaria, mantenere in vita le aziende e aiutare le famiglie. Il costo delle misure nazionali ed europee che serviranno nei prossimi mesi per ricostruire l’economia sulle macerie lasciate dal lockdown sarà anche maggiore. Per quanto si ragioni sulle politiche monetarie anti-crisi della Banca centrale europea, sul potenziale del Fondo per la Ripresa o su come andrà la ripartenza dell’Italia, non si scappa da una logica inesorabile: il conto sarà gigantesco e come sempre lo pagheranno i cittadini. Quelli di oggi, con le loro tasse, e quelli di domani, chiamati a gestire un debito pubblico che quest’anno, come ha ricordato il governo nel Def appena aggiornato, raggiungerà «il livello più alto della storia repubblicana, il 155,7% del Pil». Già oggi gli interessi sul debito si mangiano ogni anno circa il 4% del Pil e tolgono all’Italia risorse che potrebbero essere usate per le scuole, gli ospedali, lo sviluppo economico.

Sarebbe una beffa insopportabile scoprire fra qualche anno che una parte dei soldi che l’Italia sta “tirando fuori” con tanta fatica invece di avere contribuito alla ripresa del Paese sono poi finiti su conti offshore nei paradisi fiscali. Non è mai stato così urgente evitare che il denaro fugga via verso qualche lido caraibico. Per molti versi il contrasto ai paradisi fiscali è anche più importante della lotta all’evasione: finché il denaro nascosto al fisco resta all’interno del “sistema” si può sempre sperare di recuperarlo. O almeno si può pensare che rientri in qualche modo nell’economia legale, per esempio quando l’evasore compra un’automobile. Ma quando è volato via non c’è più nulla da fare.

Alcuni governi europei si sono già adoperati per impedire che i fondi stanziati per l’emergenza possano arrivare a società in qualche modo legate ai paradisi fiscali. Polonia, Danimarca e Belgio hanno indicato esplicitamente nelle loro leggi di stimolo che gli aiuti non potranno andare ad aziende che sono registrate in un paradiso fiscale. Anche la Francia sembrava andare in quella direzione. «Se una grande impresa ha sede in un paradiso fiscale o una filiale senza attività economica reale in un paradiso fiscale va da sé che non beneficerà del prestito garantito dallo Stato o del differimento degli oneri» ha annunciato Bruno Le Maire, ministro delle Finanze francese, la mattina del 23 aprile. Il pomeriggio stesso, però, il passaggio della legge in cui si specificava l’esclusione di quelle aziende è stato eliminato con un emendamento approvato dalla commissione paritaria del Senato francese, che l’ha considerato «marginale».

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