Perché i rating sono diventati così insidiosi per l’Italia


Nel suo ultimo aggiornamento sull’ Italia, lo scorso ottobre, S&P aveva confermato il rating BBB con previsione negativa e aveva spiegato che il giudizio sulle obbligazioni del nostro Paese poteva essere tagliato ulteriormente in due casi: l’ approvazione di leggi che «cambiassero permanentemente in peggio il potenziale di crescita» o un deficit e un debito «significativamente superiori alle previsioni».

Questa seconda ipotesi si è verificata a causa del lockdown per il Covid-19. A ottobre l’agenzia di rating prevedeva per il 2020 un deficit del 2% e un rapporto tra debito e Pil stabile attorno al 135%. Previsioni compatibili con uno scenario di normalità, quello in cui l’ economia italiana avrebbe continuato il suo percorso di crescita fiacca, con un Pil in aumento dello 0,3%, a 1.813 miliardi di euro. Invece, come ha scritto il governo nel Def aggiornato ieri, quest’ anno il Prodotto interno lordo crollerà dell’ 8%, il deficit sarà superiore al 10% del Pil e il debito raggiungerà il 155,7%.

È saltato ogni equilibrio ed è per questo che l’ aggiornamento del rating di S&P, previsto per ieri a tarda sera, era atteso con molta preoccupazione. Ma S&P ha confermato il suo giudizio, evitando di complicare ulteriormente la crisi italiana.

La scelta di S&P conferma la sensazione che anche le agenzie di rating, considerata l’ emergenza globale, abbiano deciso di adottare una linea meno “automatica” e più “qualitativa” nelle loro scelte. Anche la nota diffusa ieri mattina da Moody’ s va in questa direzione: «Nonostante la pandemia di coronavirus stia causando un grave choc economico che spingerà il debito pubblico italiano verso livelli record quest’anno – scrive l’agenzia – l’affidabilità creditizia del paese dovrebbe rimanere sostanzialmente inalterata data la natura temporanea della recessione e i bassi costi di finanziamento».

Questo atteggiamento “comprensivo” è particolarmente importante perché siamo in una situazione in cui il giudizio delle agenzie può essere davvero molto insidioso per l’Italia. Se in queste settimane difficili i titoli di Stato italiani non sono andati fuori controllo – ieri il rendimento dei Btp ha segnato un calo di 8 centesimi, all’1,87%, con uno spread di 234 punti base rispetto ai Bund tedeschi – è perché la Banca d’ Italia sta comprando miliardi di euro di obbligazioni dello Stato per contro della Banca centrale europea.

Fin qui è stato riservato all’ Italia un terzo delle operazioni del programma di acquisti di titoli da 750 miliardi di euro chiamato “Pepp” che la Bce ha introdotto a metà marzo per gestire l’ emergenza. Secondo le stime degli analisti Bankitalia ha comprato circa 20 miliardi di euro di titoli di Stato in un mese nell’ ambito del Pepp.

Per essere “acquistabili” dalla Bce, però, i nostri titoli di Stato devono mantenere un rating di livello “investimento” da parte di almeno una delle quattro agenzie considerate dalla Bce, cioè S&P, Moody’s, Fitch e Dbrs. Dall’ottobre del 2018 Moody’s assegna all’Italia un giudizio (Baa3 nella sua scala di rating) che è appena un gradino sopra il livello “spazzatura”. Le altre tre agenzie le danno invece un BBB che è due livelli sopra. Siamo sul limite, insomma. E di solito quando un’ agenzia “taglia” le altre si adeguano.

Molti hanno pensato all’Italia quando il consiglio direttivo della Bce, mercoledì, ha deciso di allentare le sue regole sulle garanzie che accettare per finanziare le banche: i titoli che il 7 aprile 2020 avevano un rating di almeno BBB- continueranno ad essere accettati fino al settembre del 2021, poi si vedrà. Questa mossa spazza via l’ idea che le banche italiane, che usano come garanzie i circa 350 miliardi di euro di Btp nei loro in bilanci, rischino di non potere più accedere ai finanziamenti della banca centrale. E la conferma del rating da parte di S&P in questo senso è molto tranquillizzante.

pubblicato su Avvenire il 25 aprile 2020


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