«In Lombardia il virus ha ucciso cinque volte i civili della Guerra» titola il Corriere della Sera in uno dei suoi primi piani dedicati al coronavirus nell’edizione del 19 aprile. Il dato è impressionante, ma sballato. Anche il primo giornale d’Italia, come altri quotidiani e decine di giornali online, è stato tratto in inganno dal commissario per l’emergenza Domenico Arcuri, che nella conferenza stampa del 18 aprile ha creato un esemplare caso di di misinformazione: una notizia falsa diffusa nella convinzione (si spera) che sia vera.
Tutto nasce da una signora toscana, che ha scritto una lettera ad Arcuri per chiedergli come faremo, una volta che l’emergenza sarà rientrata, a evitare che il coronavirus ci travolga di nuovo. Prima di risponderle, Arcuri ha ritenuto «opportuno» offrire un «parametro» per capire la dimensione della crisi sanitaria che stiamo vivendo.
Più precisamente, il «parametro» serviva a valutare l’impatto del Covid-19 sulla Lombardia. «Tra l’11 giugno 1940 e il primo maggio 1945 durante la Seconda guerra mondiale a Milano persero la vita sotto i bombardamenti 2mila civili in 5 anni – ha detto il commissario –. In 2 mesi, dal primo caso a Codogno ad oggi, in Lombardia ci hanno lasciato 11.851 persone. Cinque volte di più in soli due mesi». Un «riferimento numerico clamoroso» lo ha definito Arcuri, che ha invitato a «mettere bene a mente questi riferimenti».
Ci sono almeno tre ottime ragioni per non mettere a mente questo tipo di riferimenti.
Il primo problema del confronto proposto dal commissario straordinario sta proprio nell’idea che c’è dietro. Comparare le vittime di un’epidemia e quelle di un conflitto è un’operazione dalla logica discutibile. Lo si vedee immediatamente se si applica lo stesso parametro a livello mondiale, invece che solo lombardo: le vittime del Covid-19 nel mondo a oggi sono 152mila, contro una stima di morti per il il conflitto di circa 70-80 milioni di persone. Il confronto non regge.
Sarebbe più sensato confrontare le vittime del Covid-19 con quelle di altre epidemie o pandemie che hanno colpito l’Italia nel secolo scorso. Le tre principali sono state la Spagnola (tra le 350mila e le 600mila vittime in Italia tra il 1917 e il 1918); l’Asiatica (circa 30mila morti nel 1957-58), oppure quella di Hong Kong (20mila morti tra il 1968-69). Se il metro è questo, quella del Covid-19 è un’altra gravissima crisi sanitaria, non qualcosa di mai visto nella storia.
Il secondo problema nel parametro scelto dal commissario è una stortura evidente. Se è discutibile fare un confronto tra una guerra e una pandemia, non ha proprio senso confrontare il dato di una città (Milano) con quello della sua intera Regione (la Lombardia). Se avesse voluto fare un confronto più serio, Arcuri avrebbe dovuto fare un confronto storico sulle vittime della sola Milano o della sola Lombardia. Invece, probabilmente per carenza di dati del Covid-19 a livello di città, ha fatto questo confronto inadeguato. Nell’argomentarlo ha giocato sull’ambiguità. Avrebbe dovuto dire: «Il Covid-19 ha fatto più vittime in Lombardia in due mesi di quante la Seconda guerra mondiale ne abbia fatte in cinque anni nella sola Milano». L’effetto sarebbe stato diverso.
La terza ragione per dimenticare questo parametro è che i numeri non tornano. Non è chiaro da dove Arcuri abbia tratto la cifra dei 2mila morti a Milano «sotto i bombardamenti» durante la Seconda guerra mondiale. Quel numero però non coincide con nessuna delle cifre pubblicate dall’Istat sulle vittime del conflitto. Comunque la si metta, i morti di Milano durante la Seconda guerra mondiale sono stati molti di più. Se si considera il luogo di morte, i civili uccisi durante il conflitto a Milano sono in tutto 4.894: 1.210 prima dell’armistizio e 3.684 dopo. Se si prendono altri riferimenti ci allontaniamo sempre più dalle 2mila vittime: i civili morti “residenti” a Milano sono stati 5.523, quelli “nati” a Milano 9.952. Per l’intero territorio della Lombardia i morti “civili” della Seconda guerra mondiale sono stati 10.313, quindi un po’ meno delle 12mila vittime del Covid-19. Se consideriamo anche i militari le vittime nel territorio lombardo salgono a 16.049.
Ci si potrebbe aggiungere che se il confronto tra il Covid-19 e la guerra serve come “parametro” per misurare l’impatto di un evento drammatico sul territorio non ha molto senso distinguere militari o civili. Se quella contro il virus è una guerra, siamo tutti “militari”. I morti e dispersi tra i nati in Lombardia della Seconda guerra mondiale sono stati 54.597, più di quattro volte le vittime lombarde del coronavirus.
Applichiamo lo stesso metro a livello nazionale: gli italiani morti o dispersi nella Seconda guerra mondiale sono stati 444.523, contro i 22.745 morti da coronavirus ricordati da Arcuri in conferenza stampa. Circa venti volte di più.
Comunque la si metta, il confronto non regge: il Covid-19 è drammatico ma il carico di morte che porta con sé non è in nessun modo paragonabile a quello della guerra.
Non è chiaro per quale motivo il commissario straordinario abbia voluto tirare fuori un confronto del genere. Il sospetto è che volesse “fare colpo”, conquistarsi un titolo forzando un po’ i numeri e facendo un confronto «clamoroso», come lo ha definito lui. Invece ne è venuta fuori un’esagerazione che non aiuta a dare una dimensione reale al dramma della crisi sanitaria. Il Corriere ci è cascato in pieno, e ha addirittura ignorato la distinzione tra Milano e Lombardia peggiorando l’intero effetto di misinformazione. Più in generale, il messaggio “Covid-19 più distruttivo della guerra” è arrivato all’opinione pubblica, ed è un messaggio sbagliato.
Ovvio, nell’emergenza che stiamo vivendo è solo un dettaglio. Uno dei tanti “abusi” dei numeri di questi mesi. Ma sparate del genere non aiutano certo ad avere fiducia nelle competenze e nella serietà di uno degli uomini chiave arruolati dal governo per gestire l’emergenza.