Dei quattro pilastri della strategia europea in risposta al Covid-19 – il Mes, il Sure, la Bei e il Recovery Fund – l’ultimo è quello politicamente meno solido. Il Fondo per la Ripresa proposto dalla Francia e sostenuto da una dozzina di governi, compreso quello italiano, è ancora tutto da costruire ed è guardato con molta diffidenza da tedeschi, olandesi e dagli altri “falchi” dell’Unione europea. Nello stesso tempo, però, questo Fondo rappresenta la più concreta misura per la ripresa post-coronavirus avanzata fino ad oggi in Europa.
A che cosa serve il Fondo per la Ripresa
Bruno Le Maire, ministro dell’Economia e delle Finanze francese, a inizio aprile ha spiegato il progetto del Fonds de Relance che il suo governo intendeva portare all’Eurogruppo. L’idea di base è creare un fondo che abbia l’obiettivo di favorire una ripresa coordinata dell’economia dell’Unione europea, in linea con gli obiettivi del Green Deal, il piano ecologico al centro del programma della Commissione a guida von der Leyen, e con la nuova strategia industriale che l’Ue ha presentato a marzo.
Il fondo finanzierebbe quindi progetti legati alla transizione energetica, all’economia circolare e al digitale che possano aiutare gli Stati dell’Ue a riprendersi il più rapidamente possibile dalla crisi. Nella proposta avanzata da Le Maire questo strumento avrebbe anche obiettivi di politica industriale sicuramente cari alla Francia alla Germania e ad altri Stati membri, ma sui cui spesso non si è riusciti a trovare il consenso. Nei piani di Parigi il fondo potrebbe favorire la creazione di “campioni industriali europei” capaci di reggere la competizione con i grandi gruppi cinesi e americani, oggi ostacolata dalle regole Antitrust (che ha ad esempio hanno impedito la fusione tra Alstom e Siemens).
Un altro obiettivo del fondo potrebbe essere quello del “taglio” delle catene di fornitura globali, per rendere l’Europa indipendente nella produzione di prodotti strategici. Un’idea, questa, che è stata riproposta da Ursula von der Leyen questa settimana: «C’è una certa dipendenza dalle catene di fornitura globali che potremmo ripensare. Penso sia utile abbrevviare e diversificare le catene di fornitura per non dipendere troppo da un fornitore».