Che cosa impedisce a uno Stato di chiudere il suo bilancio con un deficit del 5, del 10 o anche del 20% del suo Prodotto interno lordo? Se quello Stato è l’Italia la risposta è semplice. Prima di tutto glielo impediscono le regole europee, che non permettono passivi di bilancio superiori al 3% e sono anche più severe con Paesi molto indebitati. Poi glielo impediscono gli investitori, che davanti a simili eccessi molto presto per comprare i nostri titoli di Stato chiederebbero interessi che l’Italia non sarebbe in grado di pagare. Infine glielo impedisce l’euro, che non si può svalutare per alleggerire il passivo.
Avessimo ancora la vecchia lira gestire deficit più elevati sarebbe appena un po’ meno complicato. La Banca d’Italia potrebbe intervenire come ha fatto per qualche tempo tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, ma a prezzo di rischiare un’inflazione fuori controllo e demolire la fiducia degli investitori stranieri.
Questo, almeno, è (in versione molto semplificata) quello che risponderebbe la grande maggioranza degli economisti. Non tutti però. Negli Stati Uniti sta guadagnando un’improvvisa popolarità una visione del deficit dello Stato e del debito pubblico molto diversa da quella tradizionalmente condivisa nell’ambito delle scienze economiche. È la “teoria monetaria moderna” (Mmt la sua sigla inglese), secondo la quale non bisogna preoccuparsi troppo di quanto uno Stato si indebita, finché l’inflazione è sotto controllo.
I principi della teoria monetaria moderna
I teorici della Mmt danno sostanzialmente al governo invece che alla banca centrale il compito di gestire la massa monetaria, cioè la quantità di moneta in circolazione. Questo vale ovviamente solo per quei Paesi che controllano la loro moneta (cioè quasi tutti tranne quelli della zona euro) e in particolare agli Stati Uniti, visto che il dollaro è la moneta al centro del sistema finanziario mondiale. Anche qui occorre semplificare. Secondo la teoria monetaria moderna, ogni anno il governo americano dovrebbe decidere quanto deve spendere e quindi mettere in circolo il denaro che serve. Il deficit non è un problema, perché il governo americano dovrebbe fare stampare dalla Federal Reserve tutto il denaro che occorre, almeno finché ha a disposizione risorse su cui investirlo: cioè lavoratori disoccupati, risorse naturali non utilizzate e capacità produttiva inespressa. Una volta finanziati i suoi investimenti con nuova moneta immessa nel sistema, il governo può valutare la situazione e ritirare il denaro in eccesso attraverso le tasse. Se ritira meno di quanto ha distribuito, allora fa un deficit.
Il corollario di questa teoria è che finché gli investimenti funzionano e l’inflazione è sotto controllo, deficit e debito pubblico non sono un problema. Un esempio pratico: se il governo ha un progetto su cui investire, ad esempio un’autostrada da costruire, per finanziarlo non deve fare altro che stampare dollari freschi e metterli in circolazione pagando le imprese coinvolte nel progetto. In questo modo mette all’opera le risorse a disposizione nel suo sistema economico. Quando quelle risorse si avvicinano all’esaurimento, ad esempio perché non ci sono più disoccupati da mettere al lavoro, allora l’inflazione sale e il governo può “estrarre” moneta dall’economia attraverso le tasse. La Mmt non propone quindi di fare deficit illimitati, ma di farli ogni volta che occorre denaro per fare investimenti che permettano di attivare tutte le forze produttive.
Le critiche degli economisti alla MMT
È evidentemente un modello molto differente da quello in vigore in tutti i Paesi del mondo, dove sono le banche centrali a controllare la massa monetaria e gestire il rischio di inflazione tenendo i tassi bassi quando l’economia e i prezzi sono fiacchi e alzandoli quando la situazione si surriscalda. Oggi la più famosa teorica della teoria monetaria moderna è Stephanie Kelton, docente della Stony Brook University. Non è proprio un’economista insigne: non rientra nemmeno nel 10% degli studiosi più citati nell’ambito della ricerca economica. In compenso è molto determinata. Di recente ha ingaggiato un duello teorico con Paul Krugman, premio Nobel per l’Economia e consulente di Barack Obama, che ha liquidato tutta la teoria come confusa e priva di solidità.
In realtà sono pochissimi gli economisti che sostengono la Mmt. Tra loro non ci sono vincitori di premi Nobel né docenti della Ivy League, il club delle più prestigiose università americane. Nonostante diversi economisti considerati “falchi”, compreso il celebre Kenneth Rogoff o l’ex capo economista del Fondo monetario internazionale Olivier Blanchard, stiano ammorbidendo le loro posizioni sui debiti degli Stati, nessuno arriva a dire che un Paese può fare tutto il deficit che vuole, finché l’inflazione non sale. Jerome Powell, numero uno della Federal Reserve, davanti al Congresso ha ribadito che “l’idea che i deficit non importino per Paesi che possono indebitarsi nella loro stessa moneta è semplicemente sbagliata”. Warren Buffett, il più grande finanziere del mondo, ha assicurato di “non essere per niente un fan” della teoria. Larry Fink, numero uno di BlacRock, l’ha definita “spazzatura”.